
Decodificare un nuovo pubblico e ricostruire il consumer journey: il futuro del Retail inizia da qui
In questo articolo
La pandemia ha segnato la fine di anni di conservatorismo nel settore Retail e non c’è ripartenza senza una piena comprensione del nuovo pubblico da intercettare e soddisfare. Tra nuove abitudini e irrinunciabili poteri di multicanalità ecco come si può ricostruire il viaggio dell’utente.
Secondo appuntamento con l’approfondimento sulle strategie di sopravvivenza del Retail post-Covid firmato Gianluca Diegoli. Dopo la panoramica generale della prima puntata, oggi spostiamo il focus su quello che è concretamente il vero punto di partenza delle strategie di vendita del post-Covid: il nuovo consumatore.
Scopriamo, quindi, come la pandemia ha cambiato comportamenti e modelli degli utenti e come poter ridisegnare a partire da essi il consumer journey.
La pandemia segna la fine del conservatorismo del Retail
Ogni marketer sa che niente è più complicato che far cambiare un’abitudine, soprattutto quando questa è soddisfacente. Il consumatore, al contrario di ciò che crede chi propone innovazione tout court, non è alla continua ricerca di alternative più efficienti: se il suo attuale modello di consumo lo soddisfa, questo è sufficiente per non fargli cambiare comportamento. È quanto sosteneva anche Geoffrey A. Moore nel suo autorevole libro sull’innovazione – Crossing The Chasm, superare la voragine – in cui faceva notare, a riprova, quanto fossero numerosi i prodotti accolti molto favorevolmente da una minoranza di target “early adopter” poi rigettati dalla maggioranza del pubblico.
Il retail aveva beneficiato lungamente di questo comportamento: si scherzava, nel settore, di come l’ultima vera innovazione fosse il supermercato – o le casse automatiche, a seconda delle versioni. “Le persone sono contente così”, si diceva ai convegni.
Questo tipo di ragionamento è tuttavia molto pericoloso e quando incrocia eventi non prevedibili come il Covid-19 si trasforma in un cataclisma. Quando le persone sono forzate a sperimentare si accorgono che alcuni dei loro comportamenti precedenti non sono effettivamente più “good enough” come pensavano e che altri tipi di esperienze possono dare accesso a prezzi migliori, servizi più comodi e tempestivi e a un catalogo pressoché infinito. È esattamente ciò che è successo nel 2020: il 69% dei consumatori italiani ha provato nuove abitudini di acquisto dall’avvento della pandemia e circa il 72-83% intende abbandonare ogni conservatorismo e portare avanti le nuove scoperte anche quando l’emergenza sarà cessata.
Come comprendere il nuovo pubblico: tra vecchi ritorni e nuove abitudini
Come in tutti gli esperimenti (e anzi, elemento fondante dell’esperimento) non tutti i nuovi modelli di acquisto e consumo sono stati giudicati soddisfacenti dalla maggioranza, che ha capito che il food delivery non sostituisce totalmente il valore della cena al ristorante (valore che è composto da altre variabili che valutiamo implicitamente nella scelta, come l’atmosfera, la socialità, ecc.), ma è un nuovo “good enough” per tante serate, così come Netflix non potrà mai sostituire completamente l’esperienza del cosiddetto grande schermo, ma può certamente riempire il palinsesto settimanale. Alcuni comportamenti a cui la pandemia ha dato impulso saranno destinati a rimanere e a diventare parte integrante della nuova normalità, subendo persino un’accelerata in alcuni casi (spesa online, prescrizioni di farmaci e consulti medici virtuali, cura dello spazio domestico), altri subiranno un’inevitabile flessione e retrocessione, se non anche una definitiva scomparsa (didattica a distanza, intrattenimento virtuale).

Fonte: McKinsey
Il potere irrinunciabile della multicanalità pervade il journey del consumatore
Ma anche se alcuni di questi comportamenti e prodotti “da lockdown” li dimenticheremo facilmente (le ciabatte pelose, il pigiama simpatico, lo spritz davanti al PC e il corso di yoga su zoom) è l’esperienza di potere assoluto che è ormai entrata nell’abitudine della maggioranza, ovvero quella libertà di dire “Magari non posso provarmi un maglione, ma posso vederne cento in pochi minuti, e alla fine quel camerino non era poi così confortevole rispetto alla possibilità di reso gratuito” che è stata concessa ormai da tutti. Una sensazione di onnipotenza che giustamente il consumatore non è disposto ad abbandonare e che è difatti ciò che alimenta la cosiddetta “stickiness to digital” del post-Covid, per usare un inglesismo che rende bene il concetto di permanenza del virtuale. È un’alternativa, un superpotere latente sempre presente che si intrufola nei journey e ne devia una parte considerevole verso l’acquisto online. “Perché rinunciarvi, ora che so che per me funziona?” sembra essere il mantra di una notevole fetta di consumatori. Solo in italia è circa il 92% degli utenti a dichiarare di voler continuare a fare shopping online anche nel post-pandemia.
Le persone hanno imparato a essere multicanali, a usare i QR code, a scaricare le app più diffuse per cercare e scoprire prodotti e a prenotare il click-and-collect nel parcheggio del supermercato. Anche il volantino cartaceo, ritornato nelle caselle della posta dopo due mesi, sembra un arnese improvvisamente invecchiato di dieci anni. Gli stessi insights di Google Trends dall’inizio del lockdown rivelano picchi nelle ricerche degli utenti di termini come “app”, “online shopping app”, “QR code scanner” o ancora “codice qr” a livello globale.
Eppure, già prima dell’evento pandemico il digitale aveva messo piede nei processi di acquisto in settori insospettabili come l’abbigliamento o l’arredamento, in cui il fattore “touch” sembrava un valico insormontabile per l’acquisto online. Semplicemente molti brand avevano deciso di attendere che ci fosse la prova provata che il consumatore fosse pronto a “scavalcare la voragine”. Oggi la prova c’è, ma il ritardo accumulato può generare mutazioni di quote di mercato e preferenze a un ritmo mai visto prima, incrinando equilibri bloccati da molto tempo.
La ricostruzione del customer journey è la vera sfida per la ripartenza
Ripensare ogni esperienza del journey del compratore, ormai liberato dai vincoli dei suoi comportamenti passati, e seguirlo attraverso i dati per capire come trattenere la sua attenzione nei micro momenti quotidiani, spesi sul device ma anche immersi nella quotidianità reale: questo è il framework di lavoro che ogni azienda retail si trova a dover scrivere oggi. E tutto sfruttando reward e comunicazioni rilevanti per bilanciare la ritrosia verso le intrusioni nella sua privacy, cresciuta del 5% dal 2013.
Capire come ogni singolo cliente vuole essere contattato e quando, essere in relazione “intima” ma con la scala del digitale è il punto cruciale della strategia: il consumatore decide prima a chi dare la sua attenzione in base alle modalità proposte, poi a cosa destinare il proprio tempo e solo in un terzo e ultimo momento a chi aprire il portafoglio. Se le persone scelgono prima il come, e poi il cosa, o l’uso anziché il possesso, il retail non può fare finta di niente ma deve iniziare a ridisegnare strategicamente il consumer journey. Ciò significa:
- integrare finalmente i KPI dei negozi fisici nel flusso di dati da web e app pre, durante e post acquisto
- riposizionare gli store e le interazioni “live” come “momenti lunghi e wow” rispetto ai “micro-momenti digitali”
- rimodellare verso i servizi e le esperienze il vecchio modello prodotto-centrico.
In altre parole è necessario integrare i vecchi parametri come la rotazione di un prodotto a scaffale per considerare finalmente ogni cliente come un valore. E questo è direttamente dipendente dalla relazione, dalla soddisfazione, dal contatto che riusciamo a creare. Conoscendo i suoi dati e le sue preferenze, potremo modellare per lui il catalogo e il journey ideale: online, offline o ibrido che sia, perché su questo non è più disposto a scendere a compromessi.
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