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Paola Bergamini
15 Giugno 2021
Tempo di lettura: 10 min.

Il futuro delle digital agencies nella comunicazione digitale post-Covid: intervista a Simone Tornabene

Abbiamo fatto due chiacchiere con il Chief Strategy Officer di Imille, agenzia creativa per i media emergenti, per fare il punto sugli scenari attuali di comunicazione digitale e parlare del ruolo delle agenzie digitali nel contesto post-Covid, di trend digitali e molto altro.

Come sta cambiando il mondo della comunicazione digitale nella nuova normalità post-Covid e quale sarà il ruolo delle agenzie digitali nello scenario futuro? E, soprattutto, il mercato italiano è pronto per questa evoluzione? Abbiamo chiesto questo e molto altro a Simone Tornabene, in una chiacchierata che ha toccato tutti i temi chiave che stanno rappresentando le principali sfide evolutive di brand e agenzie.

Chi è Simone Tornabene e cos’è Imille?

Esperto di digital strategy, formatore per aziende e docente di Communication Strategy e Media Planning dell’Università IULM di Milano, Simone Tornabene, classe 1984, ha alle spalle un’esperienza decennale nel mondo della comunicazione e del marketing digitale, oggi dedicata in gran parte alla crescita di Imille, agenzia creativa indipendente di cui è Chief Strategy Officer e socio.

Con Imille aiuta le aziende a capire come utilizzare il mondo digital per ottenere risultati migliori sia dal punto di vista della comunicazione, che del marketing e del branding.

Buongiorno Simone. Iniziamo questa chiacchierata partendo dal primo approccio che ha l’utente con Imille quando approda sul vostro sito. Le parole che saltano subito all’occhio sono: “Technology has disrupted the world. Our job is to redesign it”. Ci puoi spiegare perché avete scelto questa frase come elemento predominante nella homepage e qual è il ruolo della comunicazione digitale in questa missione di riprogettazione del mondo?

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Dallo sviluppo di integrazioni al supporto strategico, dalla creazione di concept creativi all’ottimizzazione dei risultati.

Questa frase ha accompagnato il nostro processo di rebranding nel 2019 e sintetizza in modo efficace quello che vediamo come il nostro ruolo rispetto alle organizzazioni con cui entriamo in contatto. Riprogettare il senso di queste organizzazioni è per noi qualcosa che è possibile fare utilizzando le competenze e le conoscenze di due mondi: quello della comunicazione e quello del design. Noi non crediamo nella sintesi di questi due mondi, crediamo invece che la forza di questi due mondi stia nell’essere utilizzati insieme, senza dover per forza cercare di ridurre l’uno all’altro per trovare una via di mezzo. Il modo in cui questi due mondi possono creare valore di lungo periodo, insieme, è il terreno delle storie. Le storie sono il modo in cui si costruiscono, diffondono e replicano le esperienze. La comunicazione si occupa di trasferire ad altri la storia (intesa come sintesi di una esperienza) attraverso un linguaggio e un medium, il design si occupa di rendere le esperienze storie attraverso l’interazione con ambienti fisici o virtuali, ambienti che contengono oggetti ed entità.

Il ruolo della comunicazione è quindi quello di diffondere le storie. Ma la rivoluzione digitale nella comunicazione ha incrementato il peso della co-creazione nella comunicazione, le storie non sono soltanto diffuse, ma anche rimaneggiate, reinventate, ibridate. Si tratta di qualcosa che esiste da sempre (basti pensare ai miti tramandati oralmente), ma grazie ai media digitali, in particolare ai social media, questo fenomeno è diventato preponderante. Quindi la comunicazione digitale oggi diffonde storie e ne crea anche di nuove. In questo ha un ruolo chiave perché se le storie sono costruite da organizzazioni che le creano per una finalità specifica (es. la pubblicità) allora ricorrere alla comunicazione digitale è uno strumento potentissimo (perché associato a una diffusione capillare, istantanea e di massa allo stesso tempo) e pericoloso (perché il controllo delle storie è più difficile).

Quali sono nel concreto le iniziative e gli strumenti che sta utilizzando Imille per rispettare questa mission?

Si tratta principalmente di iniziative e strumenti implementati sul fronte interno dell’organizzazione. Il nostro focus è il modo in cui lavoriamo insieme. Abbiamo disegnato un’organizzazione basata su questi principi: flessibilità, responsabilità, visione d’insieme. Lo scopo è quello di riuscire a valorizzare ciascuno dentro una comunità che sia in grado di adattarsi alle sfide sempre diverse che affrontiamo (flessibilità), dove sia chiaro qual è il ruolo di ciascuno e il suo contributo (responsabilità) senza perdere mai di vista il “tutto”, anche se lavoriamo a delle “parti” (visione d’insieme). La forma di questa organizzazione è un po’ come un kernel o un firmware: è stabile ma mai definitiva, viene costantemente migliorata

Riprendendo la frase che sintetizza il vostro approccio verso le aziende, potremmo dire che oltre alla tecnologia, anche la pandemia da Covid-19 abbia distrutto in un certo senso il vecchio mondo: quali sono stati a tuo avviso gli impatti più dirompenti nel mondo della comunicazione digitale e quali, invece, le conseguenze principali per il mondo delle digital agencies?

La pandemia ha certamente accelerato la disruption tecnologica, ponendo di per sé una sfida totale alle nostre vite.Ma la vera disruption è causata dalla tecnologia che mettiamo in campo per contrastarla: il virus cesserà i suoi effetti in relativamente poco tempo, ma la digitalizzazione che ha portato o i vaccini a mRNA sono qui per restare.

L’impatto più grande è secondo me culturale. In questo anno e mezzo di Covid-19 abbiamo cambiato il nostro modo di acquistare, di conoscere nuove persone, di rilassarci. Certo: torneremo a godere di concerti e viaggi, ma saremo tutti più abituati a usare lo smartphone costantemente.

La prima conseguenza per le agenzie è molto pratica: le agenzie sono imprese e spesso peccano proprio sul fronte finanziario-gestionale. La pandemia farà piazza pulita di tutte le agenzie che non erano solide ed efficienti finanziariamente. E poi ci sarà un rimbalzo, fra quanto tempo non è dato saperlo con certezza ma ci sarà. La seconda conseguenza è l’abitudine a lavorare in remoto. Torneremo a incontrarci di persona, ma resteranno pratiche e abitudini consolidate in questi anni di digitalizzazione forzata. Questo aprirà maggiormente le aziende anche ad agenzie che sono localizzate in altri paesi o città. L’effetto combinato di questi effetti ridisegnerà il mercato delle agenzie stravolgendo i rapporti di forza pre-Covid.

E poi c’è il tema della digitalizzazione dei consumi che si è sentita anche sui media e quindi sulla comunicazione digitale. I dati confermano che stare chiusi in casa ci ha spinti a consumare media digitali come mai prima d’ora. Credo che questa tendenza forzata si ridimensionerà quando potremo tornare al cinema, a teatro, ai concerti ma che comunque abbia obbligato le aziende, soprattutto le PMI, ad entrare definitivamente nell’era digitale. E a capire che la loro presenza e comunicazione sui media digitali sia un elemento centrale del loro successo sul mercato

Sin dall’inizio della pandemia tutte le aziende, indipendentemente dal loro settore, hanno dovuto rivedere priorità ed obiettivi per reagire a uno scenario imprevedibile. Quali sono state le iniziative e le scelte strategiche di Imille in risposta al Covid-19?

Credo che tutte le organizzazioni abbiano innanzitutto “atteso”. La pandemia ci ha improvvisamente catapultati in un nuovo scenario imprevedibile, per cui come tutti abbiamo atteso. La nostra priorità è stata salvare il patrimonio dell’organizzazione che è: i suoi membri. Abbiamo chiuso da subito gli uffici, siamo passati alla modalità full-remote in tutte le nostre sedi nel mondo, abbiamo faticato per dotare già a marzo tutti i nostri dipendenti delle maschere FFP3, ci siamo concentrati sul mettere in sicurezza l’azienda evitando la cassa integrazione. Questo è l’obiettivo raggiunto nel 2020 di cui siamo più fieri: aver protetto i posti di lavoro e le famiglie dei nostri dipendenti.

Parallelamente abbiamo investito del tempo ritrovato per pensare a concetti come resilienza e antifragilità. Il risultato di questa riflessione è stato una revisione delle nostre azioni e un paper pubblicato durante la pandemia.

A differenza della resilienza, l’antifragilità che viene descritta molto bene in questo paper permette non solo di resistere a uno shock come quello della pandemia, ma anche di andare oltre e dar vita a qualcosa di nuovo. C’è qualcosa di nuovo nel 2021 di Imille?

Per noi il 2021 è ancora un anno di attesa. Il nostro obiettivo è confermare i risultati del 2020 e prepararci per il rimbalzo. Crediamo che la ripresa dell’economia ci sarà e vogliamo essere pronti per cogliere questa finestra di opportunità. Per farlo abbiamo investito in un nuovo General Manager in Spagna, in due nuovi verticali (Corporate Storytelling e Media), in una nuova società in Brasile e in una nuova sede a Trento.

Spostiamo ora il focus sulla situazione generale delle agenzie italiane. Qual è secondo la tua personale esperienza il grado di internazionalizzazione attuale?

Quasi inesistente. Le agenzie parte dei grandi network sono internazionali solo nelle presentazioni ai clienti: il tasso di mobilità e contaminazione dei dipendenti tra le varie sedi in paesi diversi è quasi zero. Le agenzie indipendenti come noi preferiscono concentrarsi sulla crescita in Italia. In Imille abbiamo scelto un approccio differente e la qualità del nostro lavoro dimostra che questa è la strada giusta. Siamo presenti in Cile, Brasile e Spagna ma abbiamo fatto progetti per clienti in Svezia, Cina, Russia, Francia, USA, Perù, Colombia, Argentina. E continuiamo ad essere contattati da aziende che ci considerano a tutti gli effetti per quello che siamo: un’agenzia internazionale indipendente.

Proprio per la sua forte componente internazionale, Imille vanta nel suo bacino clienti  aziende che appartengono ai settori merceologici più disparati: nonostante le specificità di ogni brand, ci sono secondo te delle tendenze di digital marketing ricorrenti in questo momento storico?

Difficile parlare di tendenze, soprattutto nel digital. Ieri eravamo a sbavare dietro Clubhouse come fu per Snapchat o Pinterest. Eppure gli entusiasmi si spengono in fretta. Dovendo rispondere direi che vedo due macro-trend: a livello medio si affermano contenuti non basati sulla scrittura come l’audio e soprattutto il video breve, che abilitano maggiore co-creazione (penso alle room su clubhouse o alle challenge di TikTok). E poi: i brand si sposteranno maggiormente dal mercato alla società, seguendo il successo dell’impostazione di realtà come Nike o Patagonia

A proposito di contenuti “non scritti” come il formato audio:  dopo il successo di Clubhouse e l’aumento di interesse verso i podcast c’è chi sostiene sia un fenomeno meteora e chi, invece, ritiene che sia destinato a rimanere a lungo. Tu cosa ne pensi? C’è l’intenzione di esplorare questa nuova frontiera nei progetti futuri di Imille?

Nella mia visione l’audio non ha avuto successo: i podcast esistono da tantissimo tempo e nessuno li ha poi considerati. Io credo che il successo recente dell’audio sia al contrario un effetto del successo dei video: l’audio è diventato una sorta di video a basso coinvolgimento (senza immagini). Solo così è riuscito a diffondersi e resterà ancillare rispetto al video. Un po’ come i messaggi audio su Whatsapp: non sono un’evoluzione della telefonata, ma dell’SMS.

Un trend a cui invece stiamo assistendo noi di MailUp in ambito Email Marketing è la crescente importanza della riconoscibilità del brand come elemento chiave per il successo di una campagna email. Come sta evolvendo secondo te il ruolo del branding nella comunicazione digitale?

Il branding e il brand sono centrali nell’epoca in cui viviamo, caratterizzata dall’espansione delle aziende oltre la sfera del mercato, nella sfera della società, colmando il vuoto lasciato da ideologie politiche e religioni. E quindi sono centrali nella comunicazione. La sfida delle imprese sarà riuscire a diventare brand forti e sarà una sfida “evolutiva”: chi non sarà in grado di adattarsi morirà. Di nuovo il riferimento è quello di brand come Patagonia o Nike. Del resto l’ambiente digitale è saturo di contenuti e comunicazione, il successo sul mercato dipende dalla capacità di attirare l’attenzione in questo spazio caotico. E solo le organizzazioni con una chiara identità, strategia e visione del mondo condensate in un brand saranno in grado di farcela.

In quello che hai descritto come uno spazio caotico e, mi permetto di aggiungere, e sempre più competitivo, in cui ogni cosa sembra essere già stata vista o in cui si seguono spesso le stesse tendenze, ha ancora senso parlare di originalità e, se sì, qual è il segreto per ottenerla?

L’originalità esisterà sempre, soprattutto finché esisterà l’omologazione. Il segreto per ottenerla non è poi tanto un segreto, lo ha svelato in modo preciso Jeff Bezos: smettere di guardare a cosa fanno gli altri e iniziare a guardare alle sfide del proprio utente o cliente. In altre parole, essere customer-obsessed. Questo porta l’organizzazione fuori dalla competizione e crea nuove possibilità. Come fare? Esistono dei framework teorici molto precisi al riguardo. Tra i miei preferiti: Strategia Oceano Blu di Chan Kim e Mauborgne e la Jobs Theory di Christensen.

Nel paper di Imille che abbiamo citato in precedenza, si spiega molto chiaramente come la competitività tra le aziende attualmente si stia giocando  non più sul campo dei soldi ma su quello del tempo. L’obiettivo sta passando dal vendere un prodotto al guadagnare l’attenzione dell’utente e intercettarlo nella sua quotidianità. Quali sono, quindi, le scelte che un’azienda deve adottare per abbandonare un approccio di marketing tradizionale e adeguarsi al nuovo scenario?

Innanzitutto abbandonare la logica del risultato immediato. I successi duraturi si costruiscono con investimenti che guardano al lungo periodo e ammettono il fallimento. Ancora nel 2021 esistono aziende che permettono al controllo di gestione e alla trimestrale di dettare l’agenda delle azioni da intraprendere, queste aziende sono destinate a restare “follower” nel migliore dei casi.

In secondo luogo abbracciare il modello della “piattaformizzazione” del business (e quindi digitalizzarsi) e puntare a relazioni di valore (passaparola, cause valoriali supportate, qualità, sostenibilità) e non di convenienza (lock-in, offerte, testimonial, green washing).

Infine, interiorizzare che nessun approccio di successo dura, l’innovazione costante non è un vezzo ma una necessità. Quindi occorre che l’organizzazione cerchi sempre di superare se stessa, anche quando è in posizione di leadership. L’innovazione è un approccio culturale, non un dipartimento.

Per restare in tema innovazione e capacità di adeguarsi ai tempi che cambiano, uno dei temi più caldi del contesto attuale è quello dell’inclusività. L’attenzione pubblica al tipo di linguaggio e di immagini scelte all’interno di una campagna di comunicazione ha raggiunto negli ultimi anni una dimensione mai vista prima. Quanto sta incidendo il fattore inclusività nei progetti di Imille e quanto pesa questa componente nel processo di definizione della strategia?

Sicuramente incide parecchio, ma soprattutto perché in Imille viviamo la sfida dell’inclusività prima di tutto al nostro interno: abbiamo 12 diverse nazionalità, differenti orientamenti sessuali, differenti background culturali. Questo genera ricchezza ma anche complessità. Non è facile governare l’inclusività in un progetto o in un’organizzazione perché spesso si tende a pensare che inclusione significhi eliminare tutte le cose che possono causare problemi con un background. Ma questo significa spesso depotenziare la comunicazione. La vera inclusione parte dalla comprensione del concetto di ottimo paretiano, partendo da lì è possibile arrivare all’inclusività massima. Poi, quando non è possibile più ottimizzare in senso paretiano, arrivano processi politici e culturali: cosa deve avere priorità e perché. Non è facile.

Nel caso de Imille, siamo avvantaggiati dalla nostra varietà di background ed esperienze retta dal principio del rispetto: qualsiasi confronto è possibile soltanto se partiamo dal rispetto reciproco. Altrimenti “inclusività” diventa solo un altro nome per “censura preventiva”.

Strategia, indipendenza e creatività sono gli elementi principali che compongono il DNA di Imille.  Quali sono secondo te gli strumenti o i consigli a cui un’agenzia si può  affidare per tenere sveglia la componente creativa? Nel tuo quotidiano ci sono delle fonti di ispirazione a cui ti affidi?

Non proverò neppure a definire la creatività. Ma credo che possiamo essere tutti d’accordo che qualsiasi cosa essa sia ontologicamente, si nutre di contaminazione e vincoli. Il periodo in cui viviamo ha ridotto le possibilità di contaminazione ma aumentando i vincoli ha generato comunque ottima creatività. Mi riferisco sia a campagne monumentali come Play Inside di Nike, sia alla conversione di impianti industriali per produrre gel lavamani.

Nel mio quotidiano cerco di mantenere un alto livello di contaminazione, interessandomi a cose distanti tra loro. Le esperienze che viviamo sono oggetti cognitivi che possono diventare strumenti al momento giusto, davanti alla giusta sfida. Meglio quindi accumularne il più possibile. Cerchiamo di stimolare la massima contaminazione in agenzia e da questo sono nati ad esempio progetti come Finding Beauty e In Breve.

Per concludere

Se sei interessato ad approfondire, ti invitiamo a scoprire i numerosi lavori di Imille e le strategie digitali messe a punto per ogni specifico brand.

 

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Paola Bergamini

Sono nata nel 1993 a Como e sono evasa dai confini della provincia per studiare a Milano, dove mi sono laureata in filosofia seguendo una passione personale. Da sempre affascinata al mondo del digital e della comunicazione, amo scrivere e arricchirmi leggendo. Come Content Editor di MailUp, mi tengo aggiornata sul mondo dell'Email e del Digital Marketing per divulgarne trend, teorie e strumenti.

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